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MAGIS Notizie Le feste religiose degli “altri” possono farci incontrare?
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Le feste religiose degli “altri” possono farci incontrare?

Il direttore del MAGIS, Ambrogio Bongiovanni, risponde alle domande del giornalista Paolo Pegoraro sul caso “Pioltello”

Ha fatto discutere la scelta di un istituto scolastico di Pioltello, nel milanese, di chiudere per l’Eid al-fiṭr, festa che chiude il mese sacro del Ramadan. La decisione, frutto di un voto all’unanimità, è stata presa nell’ambito dell’autonomia scolastica e motivata dal fatto che il 40% degli studenti sono di fede islamica e sarebbero stati assenti. Oggi la presenza dei musulmani in Italia sfiora i 3 milioni. Ma le feste di altre tradizioni religiose possono diventare occasione d’incontro, invece che di scontro? Ne parliamo con il Prof. Ambrogio Bongiovanni, presidente della Fondazione MAGIS e direttore del Centro Studi Interreligiosi della Gregoriana.

Le scuole sono la fucina del futuro. Cosa ci dice il caso di Pioltello?
«È un caso pilota che deve essere preso seriamente e farci riflettere. Ci mostra che aumenta non solo la presenza di pluralità religiosa e culturale, ma pure una nuova sensibilità. Che una scuola arrivi a decidere di rispettare il momento di festa centrale dell’altro è molto positivo».

Episodi simili aumenteranno?
«In un contesto di crescente pluralità bisogna porsi non solo la questione degli spazi di espressione e di libertà, ma della stessa modulazione della vita. Altri Paesi prevedono le feste delle religioni di minoranza, oltre che della maggioranza, tanto più che alcune delle nostre feste religiose – penso al Natale – sono diventate feste civili. Non dare alle comunità l’occasione di esprimere la propria gioia significa continuare a rinchiuderle negli spazi del privato. Per generare integrazione non basta la tolleranza: occorre andare incontro all’altro».

Cosa scatena l’allarme di quanti gridano all’attacco a identità e valori italiani?
«La paura di fronte a ciò che sfugge al nostro orizzonte di controllo immediato è parte dell’istinto di sopravvivenza a un cambiamento. In un primo momento è normale, perché si prende la misura dell’altro e si cerca di capirlo. Quando però la paura diventa patologica, si trasforma in blocco. E in illusione: certi processi non si fermano solo perché li temiamo! Dobbiamo semmai attivare la virtù chiamata “prudenza”, che significa cercare di capire le difficoltà e gli ostacoli che possono sorgere, ma sempre guardando in avanti, progredendo nel percorso, senza mai indietreggiare o chiudersi. L’antidoto è la formazione, insieme alla conoscenza e all’esperienza dell’altro. Quale posto migliore della scuola?».

Colpisce che, mentre la diocesi di Milano ha sostenuto la scelta, a farsi portavoce dei timori siano stati rappresentati dello Stato laico, a partire dallo stesso Ministro dell’Istruzione. Qual è la posizione della Chiesa?
«Sebbene in passato vi siano state chiusure identitarie, oggi la posizione della Chiesa è ben oltre. Il percorso che va dalla dichiarazione Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa (1965) fino al Documento sulla fratellanza umana firmato insieme al Grande Imam di Al-Azhar (2019) è chiaro. L’identità cristiana non può accontentarsi di essere solo un’identità culturale. È un’identità spirituale fondata sull’insegnamento del Cristo, il cui Regno “non è di questo mondo”».

Qualcuno direbbe che è un atteggiamento suicida…
«La stessa morte di Gesù è stata vista come una cosa vergognosa, scandalo e stoltezza. Ma ha la sapienza di Dio, perché è proiettata verso qualcosa di più grande».

Lei ha lavorato in Paesi dove i cristiani sono minoranza. Sarà il nostro futuro?
«Credo che i cristiani, anche quando discriminati e perseguitati, rappresentino sempre un punto di riferimento. I valori che ne animano le istituzioni sociali, educative e sanitarie hanno sempre un significato per qualcuno. La nostra presenza è esperienza che nella debolezza – umana, contestuale, fisica, di mezzi – abbiamo qualcosa da dire e da dare al mondo».

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