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Fede e clima. La COP30 e l’impegno della Chiesa in Amazzonia

Foresta amazzonica

In occasione della COP (riunione annuale dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) che si terrà a Belém, nello Stato brasiliano del Parà, dal 10 al 21 novembre 2025, sono numerose le organizzazioni attive sul territorio per promuovere la partecipazione delle popolazioni amazzoniche, vittime dirette dei cambiamenti climatici, perché la loro voce sia udita dai decisori politici internazionali. In prima linea anche i gesuiti, e tra questi il Centro Alternativo di Cultura (CAC) – Centro sociale dei gesuiti brasiliani di Belém – con lui la Fondazione MAGIS collabora per la tutela della foresta e la promozione delle popolazioni indigene.

È in questo contesto che desideriamo rilanciare l’articolo Fede e Clima: come ci muoviamo verso la COP? di Luiz Felipe Lacerda – psicologo, dottore in Scienze Sociali, docente presso l’Università Cattolica di Pernambuco (UNICAP) e segretario esecutivo dell’Osservatorio Nazionale per la Giustizia Socio-Ambientale Luciano Mendes de Almeida (OLMA) – pubblicato sul sito dell’Instituto Humanitas Unisinos[1].

Nel novembre 2025 ospiteremo a Belém do Pará la Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Avrà luogo undici anni dopo l’ultima COP tenutasi in America Latina, a Lima, in Perù, nel 2014. Prima della COP 21, quindi, che ha portato alla firma dell’Accordo di Parigi, e che rappresenta l’attuale punto di riferimento delle intenzioni climatiche dei Paesi membri delle Nazioni Unite.

La giustizia climatica, il fondo per le perdite e i danni, la decarbonizzazione dell’economia e altre questioni centrali sono temi che si sono trascinati per tutti questi anni senza trovare una soluzione efficace, il che ha portato una parte significativa della società, in particolare le organizzazioni ambientaliste, i movimenti sociali e le comunità locali a sviluppare una grande sfiducia sulle reali capacità di questi appuntamenti di risolvere l’emergenza che sta bussando alla nostra porta.

I leader globali somigliano ad un cane che tenta freneticamente di mordersi la coda, come ha recentemente ricordato il presidente della COP 30, l’ambasciatore André Correa do Lago, in un’intervista al programma Roda Viva, ricordando che l’Accordo di Parigi è nato dal collasso del Protocollo di Kyoto, causato dal ritiro degli Stati Uniti dal trattato firmato in Giappone. Pertanto, oggi, nel 2025, è necessario un nuovo impulso che possa salvare l’Accordo del 2015, alla luce del ritiro del governo statunitense dai negoziati.

Se le grandi soluzioni globali non avanzano, nei territori crescono le soluzioni locali e di base, sviluppate da innumerevoli organizzazioni, collettivi e comunità che subiscono direttamente gli effetti del cambiamento climatico e allo stesso tempo sono in prima linea nel fornire risposte dal carattere innovativo. Tra queste si registra la crescente centralità delle organizzazioni e degli attori che si basano sulla fede nella risoluzione dei conflitti socio-ambientali.

Recentemente, un importante studio condotto dal World Resources Institute (WRI) e dall’Istituto Laudato Si’ dell’Università di Oxford ha mostrato come le comunità di fede siano attori rilevanti ma poco apprezzati nel dibattito sul clima. Allo stesso modo, diverse analisi sottolineano come l’Enciclica Laudato si’ e la centralità del concetto di Ecologia integrale, promulgato da Papa Francesco (2015), abbiano promosso un avvicinamento tra fede ed ecologia raramente visto nell’ambiente religioso. Ciò ha avuto impatti formidabili, come la scelta del focus della Campagna di Fraternità 2025 in una prospettiva di Ecologia Integrale.

Tuttavia, si sbaglia chi pensa che la correlazione tra fede e clima sia una proposta esclusivamente cattolica o addirittura occidentale. Molte credenze e religioni pongono la natura al centro delle loro concezioni sacre, come abbiamo potuto constatare in uno studio realizzato congiuntamente dalla Cattedra Laudato Si’ e dall’Osservatorio Transdisciplinare delle Religioni di Recife, entrambi organismi dell’Università Cattolica del Pernambuco (UNICAP), in collaborazione con l’Osservatorio Nazionale per la Giustizia Socio-Ambientale Luciano Mendes de Almeida (OLMA), che nel 2023 ha riunito circa 16 leader di diverse fedi per dibattere sul tema, culminando nella pubblicazione Religioni e Natura. A livello globale, la COP 28 di Dubai negli Emirati Arabi Uniti (2023) ha portato il tema della spiritualità al centro delle Conferenze sul clima, inaugurando il Padiglione della Fede.

In occasione della COP 30 in Brasile, il tema della fede è ancora una volta al centro dell’attenzione, poiché le comunità ecclesiali di base, le organizzazioni sociali ecclesiali e i pastori sociali da decenni uniscono le loro forze nella lotta a fianco dei popoli nativi e tradizionali delle campagne, per la tutela delle acque e delle foreste e per difendere la nostra casa comune. Ad esempio, da oltre 30 anni, il Centro Alternativo di Cultura (CAC), un centro sociale della Provincia dei Gesuiti del Brasile, che opera a Belém, sede della prossima Conferenza sul clima, offre un’educazione di qualità basata sul protagonismo dei bambini e degli adolescenti in situazioni di vulnerabilità, oltre a fornire consulenza e sostegno ai movimenti sociali e alle comunità locali al fine di garantire i loro diritti.

Dall’altro lato, sempre con riferimento al contesto climatico globale, anche la Compagnia di Gesù ha una tradizione di collaborazione alle Conferenze sul clima, principalmente attraverso il suo gruppo di advocacy legato al campo dell’ecologia, chiamato Ecojesuit, con il supporto del Segretariato per la Giustizia e l’Ecologia, un’organizzazione direttamente collegata alla Curia dei Gesuiti a Roma. Queste organizzazioni globali lavorano insieme alle conferenze continentali per allineare le agende strategiche per la collaborazione nella cura della nostra casa comune e nel sostegno ai più vulnerabili nella nostra società, due delle loro preferenze apostoliche universali.

Per la COP 30, la Compagnia Universale, in linea con la Conferenza dei Provinciali per l’America Latina e i Caraibi (CPAL) e la Provincia dei Gesuiti del Brasile, sostiene tre priorità:

1. Cancellare il debito dei Paesi in via di sviluppo e rafforzare il fondo di compensazione per le perdite e i danni.

2. Accelerare la firma di accordi e fissare obiettivi per una giusta transizione energetica che riduca le emissioni di CO2.

3. Stabilire obiettivi concreti per passare a un sistema globale sostenibile di sovranità alimentare basato sull’agroecologia.

Naturalmente, nel perseguire questi obiettivi cercheranno di costruire ponti di dialogo con le iniziative locali e regionali, come la demarcazione delle terre indigene sistematicamente minacciate dalla “Tese Do Marco Temporal”[2]; strategie efficaci per raggiungere una giusta transizione energetica con il ruolo di guida delle comunità; il dibattito sull’uso eccessivo di pesticidi negli alimenti brasiliani, lo sfruttamento del petrolio e dei minerali strategici sulle rive dei grandi fiumi continentali; la protezione dei difensori socio-ambientali; il razzismo ambientale, tra gli altri.

È in questo movimento di articolazione di agende globali e locali che entra in gioco il modo di procedere legato alla collaborazione con gli altri. Oltre alla mobilitazione delle organizzazioni che compongono la Provincia dei Gesuiti del Brasile – tra cui la Rete di Promozione per la Giustizia Socio-Ambientale –  la Chiesa del Brasile – attraverso la Campagna della Chiesa verso le COP, guidata dalla Conferenza Episcopale Brasiliana (CNBB) e le sue pastorali sociali –  sta cercando di portare avanti un processo di formazione e sistematizzazione dell’ascolto delle principali richieste delle comunità locali, organizzando eventi pre-COP in tutte le sue sedi regionali. Questa collaborazione si estende anche al di fuori del mondo cattolico in un’organizzazione chiamata Tapiri ecumenico, uno spazio ecumenico e interreligioso creato in occasione del Forum sociale panamazzonico, che si è svolto anche a Belém do Pará nel 2019. Il Tapiri ecumenico riprende l’agenda delle lotte per i diritti umani, sociali e territoriali; afferma il suo impegno per lo Stato di diritto democratico; difende l’importanza e il rafforzamento dello Stato laico; denuncia l’avanzata del fondamentalismo religioso come crimine, così come il fondamentalismo economico e politico. Tapiri, che riunisce un’importante diversità religiosa, sta organizzando un ampio programma che inizierà il 12 novembre a Belém, portando i temi legati alla fede nel dibattito sul clima.

Infine, la collaborazione delle organizzazioni di fede nella difesa del pianeta si è ulteriormente estesa promuovendo un’alleanza con il Vertice dei Popoli, una rete di oltre 400 organizzazioni della società civile che, articolandosi su sei assi centrali ( Sovranità dei Popoli, Giustizia Climatica e Ambientale, Giusta Transizione, Diritti Umani e Difesa della Democrazia, Riparazione Storica e Decolonizzazione, Protagonismo Femminile e Giovanile) porterà tutta la diversità delle lotte socio-ambientali in Brasile e in America Latina nell’atmosfera della COP di Belém. Così, mentre i leader globali si muovono a un ritmo lento, intrecciati con gli interessi economici nazionali, la società civile, e in particolare gli attori e le organizzazioni legate alla fede, stanno producendo alleanze fruttuose che presentano in modo chiaro e deciso le loro agende e richieste. Resta solo da vedere se avranno abbastanza influenza da far uscire le loro richieste dalla zona colorata e portarle nelle sale delle zone blu e verdi, gli spazi effettivi di deliberazione delle Conferenze sul clima.

Articolo originale in portoghese

Progetto MAGIS attuato dal Centro Alternativo di Cultura (CAC) a Belém

[1] L’Instituto Humanitas Unisinos (IHU) dell’ateneo gesuita UNISINOS (a São Leopoldo in Brasile) intende contribuire alla missione della Compagnia di Gesù nella diaconia della fede, nella promozione della giustizia, nel dialogo culturale e interreligioso e nella promozione della formazione politica (N.d.T.)

[2] La “Tese do Marco Temporal” è una teoria giuridica mirante a limitare i diritti dei popoli indigeni all’occupazione della terra. Tale teoria prevede che gli indigeni possano abitare solo le terre già occupate da loro al 5 ottobre 1988. Questa tesi ha visto la luce nel 2009 ed è stata già applicata in molti casi presso i Tribunali Federali (N.d.T.).

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